L'indice mondiale di parità di genere: prima l'Islanda, l'Italia 62 posti dopo

gente a passeggio in città (Foto di icsilviu per pixabay)

[15-07-2022] Esce in questi giorni l'annuale rapporto globale, Global Gender Gap Report 2022, che misura l'indice di parità di genere tra 146 paesi dei cinque continenti, redatto dal World Economic Forum (Wef), che lo pubblica dal 2006. 

 

I numeri, si sa, dicono molto, ma stimolano anche numerosi interrogativi e in questo tipo di indagini sfatano pure diversi pregiudizi. Vedi per esempio il fatto che tra le prime 20 posizioni nel mondo si trovino Rwanda, Nicaragua, Namibia, Costarica, Moldavia, Albania, Filippine e Sudafrica, mentre arriva a lunga distanza, in 63esima posizione, l'Italia. Vero è che tra i primi quindici troviamo diversi paesi europei: dopo l'Islanda, Finlandia, Norvegia, Svezia, Irlanda, Germania, Lituania, Svizzera, Belgio e Francia, il che induce a ritenere una certa corrispondenza tra società avanzate e buon indice di genere. I numeri restituiscono tuttavia una realtà più complessa, meno intuitiva e più variegata. 

 

Questo perché, innanzitutto, gli indicatori del gender gap non sono quelli economici, quanto piuttosto condizioni e opportunità di accesso. Il rapporto esamina quattro ambiti, o domini, su cui calcolare lo spread dell'indice di genere, quello che va dallo 0 (zero parità di genere) a 1 (piena parità). E per ciascuno di essi sono considerati alcuni "sottodomini". Eccoli: 

  1. il dominio Partecipazione economica e opportunità esamina: il tasso di partecipazione femminile alla forza lavoro, parità di salario per lo stesso tipo di lavoro, confronto di genere nei redditi da lavoro, nei livelli apicali/manageriali nonché tra gli operatori tecnici e professionali;
  2. il dominio dell'Educazione comprende: tasso di alfabetizzazione e di raggiungimento dei diversi gradi scolastici: primaria, secondaria, terzo livello; 
  3. Salute e sanità, registra il tasso di genere alla nascita, l'aspettativa di vita; 
  4. Potere politico, osserva: il tasso di presenza femminile nei parlamenti, tra le posizioni ministeriali, tra i capi di stato. 

 

Dal suo esordio ad oggi, il rapporto continua a ricordarci che nessun paese raggiunge la piena parità: l'Islanda per esempio è in testa con lo 0,908. La classifica poi, termina appena sotto la metà del traguardo, dove troviamo l'Afghanistan (alla sua prima rilevazione nel Global Gender Gap Report) con 0,435, e in penultima posizione, un po' oltre la metà, Pakistan (0,564), preceduto da Congo (0,575), Iran (0,576) e via a risalire. La sintesi delle posizioni determina l'indice globale come percentuale di raggiungimento della parità di genere nei 146 paesi esaminati per i quattro ambiti complessivamente considerati. Esso è pari al 68,1%, passando dalle ottime posizioni dei domini della salute/sanità e dell'educazione, rispettivamente al 95,8% e 94,4%, al 60,3% del dominio sul lavoro e al risicato 22%  riferito al potere politico: numeri che evidenziano come il comando del pianeta e i suoi dividendi (leggi: lavoro, reddito, ruoli direttivi, ecc.) siano saldamente in mano maschile.

 

Il rapporto esamina ancora l'indice globale di parità di genere nelle macroaree geografiche: migliori e vicine fra loro le posizioni di Stati Uniti (76,9%) ed Europa (76,6%); seguono America latina e area caraibica, l'Asia centrale (Europa asiatica), quella orientale e del Pacifico (dalla Thailanda alla Nuova Zelanda passando per Giappone e Australia), ma scendono in coda l'Asia meridionale e medio orientale con il nord Africa, precedute dall'Africa sub-sahariana. 

 

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Grafico gender gap nei continenti - Gender Gap Report 2022

 

L'Italia consolida la posizione del 2021 con il punteggio di 0,720 (era 0,721, e resta sempre al 63esimo posto). Migliora sensibilmente rispetto alla 76esima posizione registrata nel primo rapporto del 2006, benché le sue migliori performance in questo senso risalgano al 2015 (41esima posizione) e, fra le peggiori, nel 2017, all'82esima posizione. Solo in quest'ultimo caso, però, il punteggio scese a 0,692; nei precedenti oscillava tra lo 0,707 e lo 0,726, quindi molto vicina alla posizione 2022, suggerendo che vi sia stato nel frattempo un avanzamento da parte di altri paesi nella rincorsa alla parità di genere, contribuendo ad un suo scivolamento verso il basso. 

Una lettura comparata tra il punteggio raggiunto dall'Italia per ciascuno dei domini individuati e il suo posizionamento rispetto agli altri paesi, evidenzia lo scarto tra prevedibili attese ed esiti numerici. Per esempio, il massimo punteggio l'Italia lo registra nell'educazione (0,995), ma si colloca solo alla 59esima posizione; per contro, il suo infelice 0,319 associato al potere politico, le assegna il miglior posizionamento (40esima), ben più avanti rispetto all'indicatore salute e sanità dove scivola al 108esimo, ma con un punteggio di tutto rispetto, pari a 0,965. Fa peggio, al 110mo posto con 0,603 punti, nella partecipazione economica e nel mercato del lavoro, l'ambito più critico, ben al di sotto della metà dei 146 paesi esaminati e un non brillante punteggio. In dettaglio, osservando i relativi sottodomini, il più critico è il divario retributivo per lo stesso lavoro (0,567 punti e 114esima posizione), seguito dal tasso di occupazione (99esima) e, a breve passo, dal raggiungimento di posizioni di vertice e reddito da lavoro, mentre la presenza femminile tra le figure tecniche e professionali raggiunge un buon punteggio (0,869 e 87esima posizione).

 

Le previsioni dicono che di questo passo serviranno 132 anni alla completa parità, ma questo tipo di conteggi si dimostra poco significativo anche per la sua ampia variabilità nel tempo. Il rapporto invita a ricavare alcune indicazioni utili sugli ambiti che necessitano di maggiore incisività, come quello del potere politico e quello del lavoro, valido per buona parte degli Stati analizzati. Vale anche per l'Italia, soprattutto in considerazione della sua distanza rispetto agli altri paesi, europei e non solo. Con un livello di istruzione di terzo livello (universitario) in piena parità di genere, un'aspettativa di vita addirittura a 1,020, ci si dovrebbe attendere un'occupazione dei posti di lavoro e dei livelli decisori ben più elevati, a contrasto degli esiti che,date queste premesse, non dovrebbero riservare sorprese: una prevedibile scarsa qualità di vita per carriere lavorative povere, i cui effetti negativi hanno l'opportunità di dispiegarsi in lunghi anni di vecchiaia. 

 

 

ultimo aggiornamento: 18/07/2022

 

 

foto: icsilviu per pixabay.com

 

 

 

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